Estudos sobre o fenômeno da imigração italiana são a razão de ser do site Altre Italie, iniciativa da Edizioni della Fondazione Giovanni Agnelli.Gianfausto Rosoli do "Centro Studi Emigrazione Roma" é autor do artigo " Un quadro globale della diaspora italiana nelle Americhe". Em sua explanação, Rosli lembra que:
"(...)L'emigrazione italiana nell'economia atlantica
Il XIX secolo è il periodo classico della migrazione atlantica di lavoratori. Nonostante la
persistenza di migrazioni stagionali dei contadini in ogni paese europeo, all'interno e
all'esterno dei sistemi regionali, l'emigrazione locale e regionale divenne sempre di più
internazionale. Mentre si manteneva l'emigrazione verso l'Est, europeo e asiatico, si accelerò
il movimento verso Ovest e il Nord America.
Più di 50 milioni di europei lasciarono il
continente tra il 1800 e la prima guerra mondiale. La gran parte si riversò nel Nord America,
in parte in cerca di terre da coltivare (emigrazione stanziale), la maggioranza in cerca di
lavoro salariato (labor migration), permanente o temporaneo (i sojourners). In quel periodo
11 milioni andarono in America Latina (il 38 per cento del totale era costituito
dall'emigrazione italiana, il 28 per cento dalla Spagna, l'11 per cento dal Portogallo, il 3 per
cento da Francia e Germania).
Oltre ai gruppi, anche le destinazioni erano ora diverse, se
paragonate ai secoli precedenti, in particolare in America Latina (degli 11 milioni di europei
che andarono in America Latina il 46 per cento si recò in Argentina, il 33 per cento in Brasile,
il 14 per cento a Cuba, il 4 per cento in Uruguay, il 3 per cento in Messico, la grande meta per
secoli, il 2 per cento in Cile) (Mörner, 1985).
Gli italiani erano in testa al movimento
migratorio in America Latina. L'Italia, assieme ad altri paesi esportatori (Irlanda, Spagna,
Polonia, paesi slavi), era divenuta la periferia che forniva il grosso dell'emigrazione europea
(Gould, 1979-80).
In generale, l'emigrazione di lavoro era principalmente rappresentata da piccoli
proprietari terrieri, che emigravano verso i centri industriali per pochi anni, progettando di
tornare e di investire i propri risparmi nell'acquisto di terra.
L'entrata nell'industria era
temporanea, si trattava di una proletarizzazione volontaria allo scopo di evitarne una
permanente. Artigiani specializzati e lavoratori, la cui esistenza era minacciata dalla
meccanizzazione, si spostarono in aree in cui si aveva ancora richiesta di specializzazione per
evitare di scendere nella classe dei lavoratori senza qualifica. Infine la grande emigrazione di
lavoratori non specializzati, sia da aree rurali che urbane, conferì nuove imponenti
dimensioni al fenomeno.
I flussi migratori italiani costituiscono un buon esempio per analizzare l'impatto dei
mercati mondiali e i rapporti di potere verso le popolazioni locali.
L'agricoltura italiana era
minacciata dall'importazione di cereali e da mezzi di trasporto più rapidi e a minor costo. Gli
altri paesi mediterranei erano in competizione con il commercio italiano per l'olio, e prodotti
tipici similari. Il surplus di popolazione agricola - circa 18 milioni dal 1870 al 1930 - cercò
8 luglio-dicembre 1992 i
lavoro nelle aree atlantiche dell'Europa occidentale che si stavano industrializzando, nel Nord
America e nelle zone agricole dell'America Latina, in particolare in Argentina e in Brasile.
Secondo il censimento del 1871 sugli italiani all'estero, 450.000 persone si trovavano già in
diversi paesi stranieri. In un decennio (censimento del 1881) il numero raddoppiò (1.032.000
unità); di questi il 56 per cento era nelle Americhe".
Nenhum comentário:
Postar um comentário