quinta-feira, 13 de maio de 2010

História (192 )- "Far l'America" (109): Imigração e saudade

"La saudade". Esse é o título de um texto publicado no site do Museo dell´Emigrazione do comune di Francavilla Angitola que fala sobre o êxodo de cidadão locais rumao ao Brasil

"Malinconia…tristezza…lontananza.. non è facile spiegare il significato di questa parola (saudade). 
La magia di posti splendidi e incontaminati, l’allegria e la cordialità dei brasiliani, la bellezza delle ragazze, il samba e la caipirinha…..forse la “saudade” sono tutte queste cose messe insieme. A mio parere si tratta di un sentimento universale il cui nome esiste solo nella lingua portoghese. Se si volesse abbozzare una traduzione in italiano, forse quella che più assomiglia sarebbe “nostalgia” ma si tratterebbe senz’altro di una trasposizione infedele e sicuramente incompleta. Forse, ma solo forse, la genesi di questa parola ha cercato di fornirmela una brasiliana doc, diremmo noi, mia cugina Carina, la quale quando venne per la prima volta in Italia mi disse che, probabilmente, la “saudade “ è quel “ desiderio malinconico a metà tra speranza e consapevole improbabilità “, questo, almeno, è quello che io ho capito!!! Ed è dalle lettere dei nostri emigranti che si colgono appieno la testimonianza delle passioni, della tristezza, dei pregi e dei difetti della loro vita quotidiana nonché i drammi incontrati e vissuti così lontani da casa.

L’emigrante imparava a convivere con i sentimenti della malinconia e della nostalgia che lo attanagliava continuamente senza tregua. Rimaneva nel paese ospite solo per necessità di tipo economico, pensando continuamente al ritorno in patria, a quando ritroverà la sua famiglia, le abitudini, i sapori e gli odori della sua terra. La decisione di emigrare, raramente era il frutto di una libera scelta, ognuno affrontava le difficoltà del lungo viaggio con la speranza che un giorno sarebbe tornato in patria.

Le cose, però, con il passare degli anni cominciarono a cambiare: il nostro emigrante cominciò ad adattarsi al nuovo ambiente sociale, imparò a convivere con la diversità di usi e costumi e, cosa più importante, assimilò la lingua e le abitudini di vita e sebbene continuasse a rimpiangere il suo paese natale, non viveva più la sua condizione di emigrante in maniera negativa, ma si impegnava per consolidare e migliorare la sua condizione.

Oggi, la stragrande maggioranza dei figli dei nostri emigrati in Brasile, è laureata ed occupa posti di lavoro importanti e dignitosi. L’emigrante italiano in Brasile, oggi, è pienamente brasiliano, lo è nel cuore e nell’anima. Per lui, essere brasiliano, non indica tanto l’appartenenza ad un popolo ma è qualcosa di più profondo.. è un sentimento… un modo di essere e di porsi nei confronti della vita. E’ questa, forse, la diversità maggiore che si coglie tra chi è emigrato in Brasile e chi invece si trova in tutt’altra parte del mondo. Se è vero che il concetto di emigrazione è uguale dappertutto, è altrettanto pacifico che chi è emigrato in Svizzera piuttosto che in Germania non si sente parte di quelle nazioni a differenza di chi, invece, è emigrato in Brasile ed è divenuto un tutt’uno con quella gente". ( Mimmo Aracri - Francavilla)

História (191 )- "Far l'America" (108): A diáspora a partir da Calábria

Francavilla Angitola é uma cidade da região da Calábria, província de Vibo Valentia, com cerca de 2.357 habitantes. Estende-se por uma área de 28 km2, tendo uma densidade populacional de 84 hab/km2. A cidade se orgulha de conservar no Museo dell’Emigrazione, um importante acervo da diáspora italiana nos séculos XIX e XX. Sob o título “Un dramma del nostro tempo: l’emigrazione – La via brasiliana", o site do Museo ell’Emigrazione relata momentos desses dois períodos históricos nos quais “cittadini francavillesi” deixaram sua terra natal e partiram rumo ao Brasil.

“L'Italia, nel 1870, nel cosiddetto periodo della grande emigrazione, aveva finalmente raggiunto l'unità. Realizzata l'unità, rimaneva il grosso problema di riunificare il popolo, lo spirito italiano, l'identità italiana. Questo fu veramente il più grosso problema che si pose allora e che provocò un lungo periodo di instabilità politica, sociale ed economica. L'Italia dell'epoca, si trovava quindi con una popolazione, soprattutto quella rurale, con enormi problemi di sopravvivenza che, se nel settentrione era notevole, nel meridione e già da allora in Calabria, era addirittura devastante tanto da denominarla  'questione meridionale' .

In questo contesto, l'emigrazione non era soltanto sostenuta dai governi di allora, ma costituiva l'unica soluzione di sopravvivenza per le famiglie. Il Brasile, a sua volta, aveva la necessità di popolare un territorio sterminato mettendo a coltura il maggior numero di terre e sostenere un modello di crescita economica improntato all'esportazione di alcuni prodotti, in particolare il caffè. I governi brasiliani iniziarono quindi a promuovere l'arrivo di emigranti arrivando a gestire tale promozione attraverso due provvedimenti: il pagamento della traversata atlantica e la preferenza ad accogliere non più singole persone, ma interi nuclei familiari, ai quali venivano assegnati della case, o per meglio dire delle baracche, e dei piccoli appezzamenti di terreno. Ovviamente, agli occhi dei francavillesi di allora, era questo il vero "eldorado ".

Le prime partenze verso il Brasile dei cittadini francavillesi avvennero tra la fine dell'800 e gli inizi del 1900, ma fu nell’immediato dopoguerra a cavallo del 1950 che si ebbero i distacchi più dolorosi in quanto questi a differenza degli altri furono caratterizzati dal fatto che chi partiva aveva in mente di rimanere a lungo, se non per sempre, in quella terra; il viaggio, infatti, non era più gratuito come nel secolo passato e quindi chi partiva difficilmente poteva tornare!!!...... Proprio in quegli anni e precisamente nel 1948, fu Rosario De Caria di professione musicista, a riaprire la strada verso il Brasile e fu lui, si dice, dopo essersi sposato con Julia Patti a combinare il matrimonio di Totò Farina con la sorella della moglie Flora Patti, entrambe brasiliane. Seguirono poi gli altri fratelli Farina, Vincenzo Nicola sposatosi con Silvia Attala, Maria che si sposò nel 1952 con un brasilero di nome Armando Vittilo e Foca Alfredo, marito di Nina Aracri che raggiunse il consorte un paio di anni dopo, precisamente nel giugno del 1953.

A differenza di quanto avveniva in precedenza, quando il viaggio era gratuito, adesso, partiva un familiare alla volta; con Nina Aracri , infatti, partì soltanto il figlio Peppino, mentre Maddalena, partì anni dopo, appena in tempo di vedere nascere la sorella Silvana. Ad onor del vero, due anni prima, Maddalena cercò di partire, ma fu respinta poco prima di imbarcarsi dal porto di Napoli per un glaucoma all’occhio ritenuto all’epoca molto contagioso; giunse in ogni caso in Brasile il 5 dicembre del 1955 e a 19 anni sposò Celso Araùjo Roberto discendente italo-tedesco; adesso hanno tre figlie Carina Franca di professione avvocato ed insegnante, Simone Carla specialista in protesi dentarie e Amanda commissario di bordo nell’aeronautica. Lo stesso viaggio intrapresero le sorelle Ciliberti, Concettina, Maria e Barbarina con i fratelli Mario e Nicola; emigrarono pure i fratelli Aracri (Sarina, Antonio, Giovanni, Mario e Nina) di Pizzo ma originari di Francavilla per parte della mamma Talora .

Uno di questi, Giovanni Aracri, dopo un lungo soggiorno estivo a Francavilla, nell’imbarcarsi, morì all’improvviso sull’aereo che stava per decollare per rientrare in Brasile.Ben otto sono poi gli eredi di Francesco Bilotta e di Cerasia Bettina anche loro emigrati in Brasile.

Tutti questi nuclei familiari, scommettevano in un mondo che stava cambiando e si stabilivano nella metropoli di San Paolo, attirati dal grande sviluppo edilizio ed industriale della metropoli brasiliana o nei centri limitrofi. Questa scelta, generalmente, non coronava gli sforzi dell’emigrante, che rimaneva straniero sia nel paese di emigrazione che straniero in Patria. Diversamente, oggi, le generazioni contemporanee, vivono la loro vita in maniera più razionale e in modo meno traumatico.

La ragione di questo diverso approccio risiede sicuramente nel fatto che la facilità delle comunicazioni attraverso il telefono ma anche attraverso internet, non crea più il senso di abbandono che provavano gli emigranti di qualche anno fa. Le distanze poi non sono così enormi da ricoprire, con gli attuali mezzi di trasporto si può raggiungere qualunque posto in meno di ventiquattro ore. In ogni caso, anche per loro, che magari non l’hanno vista ma che l’hanno sicuramente amata l’Italia resterà sempre un paese meraviglioso" (Fonte: Francavilla)

quarta-feira, 12 de maio de 2010

História (190 )- "Far l'America" (107): Friuli e a grande imigração

O siteArchivio Multimediale della Memoria dell’Emigrazione  (Friuli Venezia Giulia) conta em breves palavras como foi noticiado, entre os friulanos, o fato de o Brasil imperial ter adotado uma política oficial para atrair imigrantes.

  "Le prime notizie relative alla possibilità, per gli abitanti dell’attuale regione Friuli Venezia Giulia, di raggiungere come emigranti le campagne del Brasile risalgono al 1872. L’8 giugno di quell’anno, infatti, il Console Generale del Brasile a Trieste Barone Mario de Morpurgo invia all’Eccellentissimo Imperial Regio Governo Marittimo della città giuliana alcuni esemplari e relativa traduzione del contratto sottoscritto il 31 gennaio precedente a Porto Alegre, nello stato del Rio Grande do Sul, da Jeronymo Martiniano Figueira de Mello, Presidente della Provincia di São Pedro do Rio Grande do Sul e da Caetano Pinto & Irmão e Holtzweissig & C.ª per l’introduzione di quaranta mila coloni nell’arco di dieci anni . Nella lettera che accompagna la copia del contratto, il Console Generale chiede di rendere l’accordo “di pubblicità per scienza e conoscenza di chi possa interessare tale stipulazione per parte di quel Governo [brasiliano] onde non venire eventualmente ingannati dai contrattatori o loro incaricati”.

História (189 )- "Far l'America" (106): Doenças e mortes a bordo

No site do recém-criado Museo Nazionale dell' Emigrazione Italiana Museo Nazionale dell’Emigrazione Italiana há um breve relato das dificuldades enfrentadas por quem decidiu partir em busca de uma nova vida nas Américas, no final do século XIX.

"Per dormire, «l’emigrante si sdraia vestito e calzato sul letto, ne fa deposito di fagotti e valigie, i bambini vi lasciano orine e feci; i più vi vomitano; tutti, in una maniera o nell’altra, l’hanno ridotto, dopo qualche giorno, in una cuccia da cane. A viaggio compiuto, quando non lo si cambia, ciò che accade spesso, è lì come fu lasciato, con sudiciume e insetti, pronto a ricevere il nuovo partente» (Teodorico Rosati, ispettore sanitario sulle navi degli emigranti, 1908). In tali condizioni, contrarre una malattia è frequente, e non mancano i decessi come rivela il diario di bordo del piroscafo “Città di Torino” nel novembre 1905: «Fino ad oggi su 600 imbarcati ci sono stati 45 decessi dei quali: 20 per febbre tifoide, 10 per malattie broncopolmonari, 7 per morbillo, 5 per influenza, 3 per incidenti in coperta».

Tra i casi più clamorosi di “vascelli fantasma” con decine di morti durante la traversata, il “Matteo Brazzo”, nel 1884, in un viaggio di tre mesi con 1.333 passeggeri ha avuto 20 morti di colera ed è stato respinto a cannonate a Montevideo; il “Carlo Raggio” in un viaggio del 18.12.1888 con 1.851 emigranti ha avuto 18 vittime per fame e in un altro viaggio, del 1894, 206 morti di cui 141 per colera e morbillo; il “Cachar” che partito per il Brasile il 28.12.1888 con 2.000 emigranti ha avuto 34 vittime per asfissia e altri per fame; il “Frisia” in viaggio per il Brasile il 16.11.1889 ha avuto 27 morti per asfissia e più di 300 ammalati; nello stesso anno sul “Parà” un epidemia di morbillo uccide 34 persone; il “Remo”, partito nel 1893 con 1.500 emigranti, ha avuto 96 morti per colera e difterite e fu respinto dal Brasile; l’“Andrea Doria” nel viaggio del 1894 ha contato 159 morti su 1.317 emigranti; sul “Vincenzo Florio” nello stesso anno i morti sono stati 20 su 1.321 passeggeri.Infine, le navi per emigranti, per tutto l’Ottocento, mancavano di infermerie, ambulatori e farmacie, tanto che, tra il 1897 e il 1899, più dell’1% degli arrivati a New York è respinto in Italia perché ridotto in cattivo stato dai disagi e dalle sofferenze del viaggio".

terça-feira, 11 de maio de 2010

História (188) - "Far l'America (105)": Dificuldades a bordo

Outro “Museo dell´Emigrazione” é “ La Nave della Sila” organizado” pela Fondazione Napoli Novantanove. No link ‘il viaggio” as condições a bordo são assim descritas:

": ..Ammonticchiati là come giumenti sulla gelida prua mossa dai venti, migrano a terre inospite e lontane; laceri e macilenti, varcano i mari per cercar del pane... (Edmondo De Amicis, Gli emigranti.) La differenza tra le classi era enorme. Gli emigranti erano solo 'tonnellate umane'. Ci volle una legge per costringere le navi ad aver sale da pranzo per loro. Fino ad allora, raccontano ne Il pane duro Oreste Grossie Gianfranco Rosoli, 'la distribuzione del cibo era fatta in maniera umiliant, senza l'osservanza delle elemntari norme igieniche'. Scrive il colonnello medico Teodorico Rosati: 'Accovacciati sulla coperta, presso le scale, col piatte fra le gambe e il pezzo di pane fra i piedi, i nostri emigranti mangiano come i poverelli alle porte dei conventi. E' un avvilimento del lato morale e un pericolo da quello igienico, perchè ognuno può immaginarsi che cosa sia una coperta di piroscafo sballottato dal mare, sulla quale si rovescianole immondizie volontarie e involontarie di quelle popolazini viaggianti'.

História (187) - "Far l'America (104)": Refeições a bordo

Navegar pela web em busca de site que falem sobre imigração italiana é entrar em contato com uma série de museus italianos que tratam do tema “emigrazione”.

Um deles é o Museo dell'Emigrazione - Piemontesi nel Mondo. No menu de navegação o link il viaggio descreve, em poucas palavras, como se alimentavam os pioneiros que carregavam na lama os sonho de ‘Fazer a América’ .



“Si raggiungeva la terra della speranza viaggiando in terza classe, spesso in condizioni disumane, in molti casi superando la capienza effettiva della nave e senza essere registrati. Questo era il viaggio in nave per gli emigranti che cercavano fortuna nelle Americhe e nella lontana Australia.Per i pasti ci si metteva in fila, ognuno con la propria gavetta, prendendo ciò che veniva distribuito da grosse marmitte di oltre 100 litri. Brodi, minestroni, pasta asciutta e pane componevano il menu che accompagnava i giorni di viaggio, per ammazzare il tempo non mancavano i giochi e le competizioni fra emigranti, durante la navigazione si intrecciavano le prime amicizie”.

segunda-feira, 10 de maio de 2010

História (186): Imigração italiana no Pará (2)

A socióloga Marília Emmi na Universidade Federal do Pará- tese de doutorado- faz um relato da imigração italiana no Estado do Pará.

"Entre as décadas de 1920 e 1930, os imigrantes italianos eram bastante representativos em Belém. As famílias se reuniam em duas entidades, conforme o respectivo poder aquisitivo. Havia a elitista Sociedade Italiana e a popular União Italiana. Entre as duas, uma enorme rivalidade.

Na rua Manoel Barata, em frente à antiga confeitaria Palmeira, funcionava a União Italiana.No mesmo prédio, hoje está instalada a Associação Ítalo-brasileira, entidade promotora da Festa de São Genaro, na avenida Serzedelo Correa.

Ainda na Manoel Barata, na esquina com a avenida Presidente Vargas, havia a Casa dos Italianos. Os filhos de italianos estudavam em escolas especialmente voltadas para eles. Uma delas, era a escola Dante Alighieri.

Em 1932, havia no Pará duas facções do Partido Fascista. A de Belém tinha 68 inscritos. A de Óbidos, 41. Além dos conservadores, havia os anarquistas ligados, principalmente, ao setor gráfico.

Eles se dedicaram ao comércio de gêneros alimentícios, de tecidos, de ferramentas e produtos regionais, mas também havia os que se tornaram representantes de bancos, como do Banco do Brasil e da Casa Moreira Gomes.

Os italianos que chegavam a São Paulo encontravam abrigo na Casa dos Imigrantes. Em Belém não havia uma casa similar. Os recém-chegados se hospedavam em pensões de famílias italianas. Na avenida Padre Eutíquio, a pensão da Dona Genoveva era uma das mais concorridas. Elas são as precursoras das cantinas italianas de hoje.

O primeiro grande impacto dos italianos no Pará era de ordem gastronômica, relata seus descendentes. A comida extremamente diferente era uma barreira. A maioria produzia as suas próprias massas.

Das 400 famílias do Norte da Itália programadas para as colônias Anita Garibaldi e Ianetama, em 1898, somente oitenta chegaram. Pertenciam às regiôes da Lombardia e do Veno, Norte da Itália.

Os imigrantes não tinham a preocupação de enviar dinheiro para a Itália, salvo para buscar o restante da família. Os mais abastados, no entanto, visitavam a Itália todos os anos.

Entre os comerciantes italianos, a maioria era originária da cidade de São Constantino di Rivello, na região da Basilicata. A pesquisadora do NAEA entrevistou um descendente que conheceu a cidade. Segundo ele, São Constantino é muito pequena e com poucas oportunidades de trabalho. Ainda hoje os jovens são obrigados a sair de lá quando chegam à idade escolar.

Os imigrantes que chegaram entre 1940 e 1950 saíram da Itália por causa da Guerra. Muitos já tinham parentes no Estado. Depois desse período, a imigração chegou ao fim". (Fonte Universidade Federal do Pará)